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L’ora del quarto polo

alt Bersani ha definito il risultato delle elezioni amministrative  lo tsunami politico del 2011, propedeutico alla caduta di Berlusconi insieme al raggiunto quorum referendario. La sua gioia è stata così grande che il PD è riuscito a beccarsi la censura sull’uso improprio del corpo femminile e di maschilismo retrò per aver detto che l’aria era cambiata usando le gambe di Marylin Monroe con la famosa gonna al vento.
Viceversa il PDL, pur ammettendo la sconfitta, ha cercato di minimizzarne la portata, malgrado fosse stato proprio Berlusconi ad aver dato alla consultazione una valenza politica. Come se la definizione degli eventi “un segnale degli elettori” non implichi logicamente un rilievo politico nazionale.
Bersani ride sguaiatamente per mascherare  il fatto che a festeggiare sul serio dovrebbero essere solo Di Pietro e Vendola, oltre a Beppe Grillo che si è trasformato da comico in soggetto politico, dando così ragione a chi ride del balletto dei politicanti.
In realtà nemmeno Di Pietro e Vendola hanno tanto da ridere, dato che i loro innegabili successi avranno quale conseguenza che i riflettori saranno puntati su De Magistris e Pisapia: si sa, la luce degli amici è quella che fa più ombra agli uomini politici, rendendoli nervosi…
La Magistratura continua a fare il proprio lavoro, con inchieste che toccano ogni giorno più da vicino i vertici politici, anche in maniera bipartisan, come nel caso Bisignani, ma che lasciano sempre più perplessi chi ha notizia degli atti tramite le pagine dei giornali, dato  che sembra di leggere articoli su gossip di potere piuttosto che di reati. A non meno che essere potente non sia di per sé un reato, ma ciò dovrebbe indurre tutti partiti a fare una pausa di riflessione, dato  che il rischio è quello di andare verso una deriva giustizialista, dove la caccia all’untore perché ammanicato potrebbe trasformarsi in una lesione del sistema democratico.
Non è un caso che, nei sistemi dittatoriali, quando alcuni uomini raggiungono un potere rilevante e non sono in linea con il tiranno di turno, spesso vengono arrestati con l’accusa di attentato all’ordine costituito o di condotta antinazionale.
Con ciò non intendo affermare che le accuse contro il sig. Bisignani e gli altri indagati siano necessariamente prive di fondamento, ma solo osservare che, dagli atti pubblicati sui giornali, emerge che si tratta di una inchiesta che si muove su una linea di demarcazione tra il lecito e l’illecito nella quale lo spazio lasciato dal legislatore all’interprete del diritto appare invero eccessivo e pericoloso.
Da Tangentopoli in poi, malgrado il tema della giustizia sia al centro del dibattito politico e la Magistratura sia stata al centro di molte polemiche, soprattutto da parte del centro destra, Berlusconi non è mai riuscito a far approvare una riforma che ridisegnasse chiaramente le sfere di potere, con separazione delle carriere e, magari, incentivazione delle giurie popolari, come nel sistema statunitense: considerato che ha governato con maggioranze sufficienti per deliberare, di tale situazione l’attuale governo è di gran lunga più responsabile della sinistra.
Infatti il PD (ed i partiti da cui esso è derivato) ha sempre affermato di ritenere valido il sistema giudiziario vigente e, quindi, non può essere accusato di non aver collaborato a modificarlo: è diritto, se non dovere, di una opposizione contrastare le tesi che avversa e, quindi, di tale situazione la responsabilità non può che ricadere su chi aveva il potere ed il dovere politico di modificarla.
Viceversa il PDL pare preoccuparsi della giustizia solo quando viene colpito qualche suo uomo, Berlusconi in primis, fatto che non solo non rende credibili le sue iniziative, ma dimostra che l’intenzione del partito non è quella di riequilibrare i poteri in analogia ai più evoluti sistemi democratici occidentali, ma di prendere tali sistemi ad esempio solo per motivare scelte a difesa degli interessi di questo o quell’imputato.
Tale modus agendi rende impopolari quelle iniziative legislative che fioriscono nel nome  della civiltà giuridica solo allorché si creano emergenze in seguito ad inchieste nelle quali i P.M. sembrano più dei giustizieri che dei giudici. E’ ovvio che le iniziative a difesa della civiltà giuridica si ritorcano contro chi le propone, quando ciò avviene solo in seguito al clamore mediatico per malefatte vere o presunte di politicanti o dei loro amici.
Gli indignatos spagnoli ed i risultati referendari dimostrano che, in tutta Europa, la gente si stia distaccando dalle parole dei politici e non accetti di essere scavalcata su temi essenziali, quali l’acqua, i pericoli derivanti dal nucleare, la possibilità di lavoro. E che il fenomeno non sia solo europeo è dimostrato anche da ciò che sta avvenendo nei paesi arabi, anche grazie alle immense possibilità di comunicare e di conoscere altri mondi offerte da internet.
La civiltà giuridica, i diritti degli individui, la inviolabilità delle comunicazioni, sancita dalla Costituzione con riferimento alla corrispondenza, sono diritti primari ai quali rischiamo di rinunciare a causa di una politica governativa incerta, che si ricorda di alcuni valori solo quando pensa che essi possano essere utili per preservarne le consorterie, e di una opposizione che teme che la loro tutela ne ritardi il ritorno al potere.
In una democrazia l’indignazione dovrebbe avere quale conseguenza trovare nelle urne degli uomini nuovi e non la rinuncia ai valori primari: se gli onesti e gli intellettuali capissero questo messaggio e creassero il quarto polo (il terzo è già troppo occupato), forse il Paese ne guadagnerebbe.
 

di Romolo Reboa*

* Avvocato del Foro di Roma

Fondo 3_2011