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Matite e rispetto

 

 

Subito dopo i fatti di Parigi scrissi sul mio profilo Facebook che il mio cuore era una matita, spezzata per l’attentato di Charlie Hebdo e per il dolore di chi stava soffrendo e non riusciva a scrivere ed a portare con il propria sorriso la luce nella nostra comunità.

Non pensavo solo ai giornalisti assassinati, ma anche ai tanti sconosciuti, fari per le vite altrui e, che, in quanto tali, le rendono ogni giorno più leggere, senza magari avere la forza per sostenere la propria e sentendosi in colpa per tale debolezza.

Osservavo che bisogna reagire, mostrando un cuore multicolore, perché sono il sorriso e l’amore per la vita e per la costruzione anche solo di un sogno a darci quel pepe che ci costringe ad alzarci dal letto quando saremmo lì, inerti, a vedere in televisione lo scorrere degli eventi.

E senza un sogno o un ideale è difficile disegnare il futuro nostro e dei nostri figli, ogni movimento è pesante, le lacrime induriscono i muscoli, è difficile anche camminare.

Concludevo invitando a serrare i ranghi, a porre in alto i cuori, così come le matite, per impedire che il dolore, la disfatta di un momento potessero abbattere quel bellissimo disegno che è la gioia per la vita.

Papa Francesco, con la saggezza di chi è chiamato ad assicurare la pace, osservava che i giornalisti di Charlie Hebdo erano delle vittime e non degli eroi, mandando un segnale di comprensione per chi si era sentito offeso dai loro disegni e, quindi, non riusciva in cuor proprio a soffrire per l’evento terroristico ed oscurantista.

La guida dell’Illuminismo, Voltaire, era solito dire “Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo” e Martin Luther King ne riprese il pensiero affermando che “la mia libertà finisce dove comincia la vostra”.

Uccidere una matita, anche se insolente e blasfema, è un crimine contro la libertà, ma ciò non impedisce di rendersi conto che anche una matita libera può uccidere la libertà, perché, andando a colpire sentimenti tanto profondi da confondersi con l’intimità dell’essere umano, sostanzialmente ferisce persone che vivono di ideali o di sogni. La maggior parte di esse si limitano a sentirsi offese ed incapaci di reagire, voltandosi dall’altra parte: altri ritengono la non violenza sottomissione e, purtroppo, la storia e le vittorie hanno spesso trasformato terroristi in eroi.

La rete internet, pur respingendo i velleitarismi che periodicamente la vorrebbero assoggettata a cappi o, almeno, cappiole, si è interrogata in maniera così potente su quale debba essere il limite della libertà di parola: non è un caso che il suo lato più oscuro, Anonymous, cioè la sigla della principale comunità degli hacker di tutto il mondo, abbia deciso di venire alla ribalta in grande stile, con una operazione di oscuramento della gran parte dei siti e degli account Facebook e Twitter degli jihadisti dell’Isis.

Gli hacktivisti, attraverso il loro blog, hanno lanciato un messaggio al mondo intero (e non solo a quello islamico) ricordando che “Internet è per la libertà di parola, non per l’odio”.

In sintesi, i pirati informatici hanno scelto di uscire dal guscio individualista delle loro tastiere che si esaltano violando le difese altrui e, con una azione da far invidia al più sofisticato dei servizi segreti mondiali, sono diventati comunità a difesa della libertà, negando ad altri la possibilità di esprimersi liberamente, infestando il web di odio.

La comunità dei pirati ha messo in atto le parole di King, ha innalzato una barriera tra la propria libertà e quella degli assassini che, in suo nome, negano l’altrui libertà.

Una matita non può uccidere, ma il suo scritto ed il suo disegno possono essere letti come un’offesa e provocare azioni anche criminali a ritorsione dell’offesa.

Spesso si parla di libertà, ma quante volte si parla di rispetto per il pensiero ed i sentimenti altrui?

In una sorta di legalitarismo benpensante si è gridato allo scandalo perché i giocatori della Roma sono andati sotto la Curva Sud a giustificarsi con i tifosi per delle prestazioni sportive incolori ed indegne per degli atleti che ricevono in un anno compensi che molti degli spettatori contestatori non incasseranno mai in una vita di onesto lavoro manuale che, magari, gli consente un unico svago: il non economico biglietto per accedere allo stadio.

E’ vero che, tra i tifosi, vi sono persone che utilizzano il tifo per dare sfogo ai loro istinti violenti, ma è analogamente vero che esistono molte teorie psicologiche sulla funzione cosidetta catartica del tifo (quello fatto di urla di incitamento ed insulti ad arbitro, avversari e beniamini scarsamente combattivi), cioè che, attraverso di esso, viene scaricato il surplus adrenalinico di aggressività conseguente le frustrazioni quotidiane.

Non è questa la sede per disquisire su fondamento o limiti di tali teorie, ma il lancio della frutta contro i “cantanti lirici cani”.

nasce nei teatri dell’opera, a dimostrazione che ad ogni passione tradita corrisponde una reazione, anche in ambienti culturalmente ed economicamente più elevati di quelli degli usuali frequentatori di una curva.

E’ giusto reprimere ogni forma di violenza, ma bisogna fare attenzione al perbenismo intellettuale che produce l’effetto opposto.

E’ giusto non picchiare i figli, ma deve essere chiaro che il divieto è quello di sfogare sulla prole i propri istinti violenti, non quello della madre che da un “sano ceffone” al figlio per indurlo a mantenere un comportamento corretto che gli consentirà di avere una vita sociale.

Viceversa qualche benpensante della non violenza ha persino criticato la mamma nera a Baltimora che, vedendo il figlio in strada, impegnato a lanciare sassi contro la polizia nell’ambito delle proteste dopo i funerali del ragazzo afro americano Freddy Gray, ha reagito prendendolo a schiaffi davanti alle telecamere di tutto il mondo.

La maggioranza della popolazione mondiale ha applaudito quella mamma, così come la maggioranza dei laici contesta le offese agli altrui sentimenti religiosi, perché essere il principio fondamentale del libero pensiero è il rispetto.

“Chi è senza peccato, scagli la prima pietra“, lo disse Gesù, difendendo l’adultera, senza con ciò assolvere l’adulterio, che è ancora censurato in una società moderna che espone il sesso in TV non per l’atto fisico, ma per i pericolosi riflessi sociali sulla psiche del partner, che vive l’evento come una offesa.

E allora, difendiamo le libere matite, ma ricordiamo sempre che le ragioni altrui meritano lo stesso rispetto di chi le vuole criticare.

di Romolo Reboa 

* Avvocato del Foro di Roma